Afghanistan. La guerra infinita

dicembre 2019

Articolo di Massimo Merli

Dal 1979 ad oggi l’Afghanistan è terreno di perenne conflitto.

I RETROSCENA
Il tutto iniziò con il tentativo dei ribelli islamici mujaheddin (raggruppanti varie tribù afghane e di etnia Pashtun) di rovesciare con una grossa rivolta la RDA (Repubblica Democratica Afghana) e il suo regime comunista filosovietico dei leader Karmal prima e Najibullah dopo. L’Unione Sovietica (l’Afghanistan aveva rapporti con i Russi fin dall’epoca zarista) intervenne militarmente a sostegno della RDA, mentre i mujaheddin trovarono l’appoggio finanziario e di consulenza presso gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Pakistan e la Cina. Quest’ultima non aveva ancora seppellito i dissapori ideologici con Mosca circa la visione del Socialismo. “I Cinesi fanno tutto in versione cinese, anche il Socialismo”, come disse Kruscev. Gli USA e la Gran Bretagna erano interessati, più che a “difendere la civiltà dal Comunismo”, a non permettere ai Russi e chi con loro di raggiungere lo stretto di Hormuz e monopolizzare i traffici del petrolio del Golfo Persico.

LA GUERRA
I Sovietici intervennero invadendo il Paese con massicce forze terrestri e aeree, era dalla seconda guerra mondiale che l’Armata Rossa non dispiegava sul campo contingenti tali per portata e potenza di fuoco. L’Afghanistan fu occupato senza difficoltà e iniziò una lunga guerra di logoramento operata dai mujaheddin di Rabbani ed Hekmatiar (sostenuti anche dai Pashtun di Massoud) ai danni dei Russi occupanti e dei loro sostenitori in loco. Il conflitto durò dal 1979 al 1989, fu l’ultimo scorcio di guerra fredda e il primo episodio della guerra afghana, che dura tutt’oggi. Il Paese fu devastato profondamente e a guerra “finita” si contarono circa due milioni di morti tra i civili, altrettanti feriti e tre milioni di profughi. Come per gli Americani in Vietnam, la guerriglia si dimostrò una tattica vincente contro i Russi in Afghanistan, nonostante la loro forza d’impatto. I generali sovietici Rodionov e Gromov attuarono misure di repressione e anti-guerriglia spesso efficaci, ma non risolutive. Con l’avvento di Gorbacev e vista l’incapacità (o la poca convenienza vista la crisi sovietica) di continuare sostenere una guerra che si prolungava ab libitum senza effettivi sviluppi se non da parte nemica, i Sovietici lasciarono gradatamente il paese a partire dal 1988 e la lotto continuò solo tra mujaheddin e najibullah. La dissoluzione dell’URSS alla fine del 1991 causò di riflesso anche il crollo della RDA in Afghanistan, Hekmatiar e Massoud presero il potere con tutta felicità delle Nazioni estere che li avevano sostenuti. La pace era comunque ancora lontana e le tribù vincitrici iniziarono a lottare tra loro per motivi ideologico-religiosi. Nell’anarchia e nel caos afghano iniziò a brillare l’astro di Massoud, detto “il leone del Panjir”, fedele alleato di Washington e dell’Occidente nella regione, ma anche Osama Bin Laden, il miliardario saudita ex fiore all’occhiello degli Stati Uniti nella guerra contro i Sovietici ed ora reclamante “in nome di Allah” forse dei mancati pagamenti o non rispettati accordi…

Mappa di Daniele Dapiaggi


L'ESTREMISMO
Tra i mujaheddin emerse col tempo anche la fazione fondamentalista islamica dei Talebani (da “Thalib”, “studente”), che avrebbe soppiantato i gruppi meno estremisti e tra il 1996 e il 1998 ascese al potere in tutto il Paese. Capendo che non si trattava di alleati veri e propri, gli Stati Uniti sperarono nella resistenza di Massoud contro i Talebani del mullah Omar, sostenuti a loro tempo, a quanto sembra dal re Faud d’Arabia e dai gruppi radicalismi pakistani. Massoud fu ucciso il 9 settembre 2001, due giorni prima che Al Qaeda di Bin Laden scatenasse l’attacco terroristico alle Torri Gemelle. L’implicazione dei Talebani nel fatto causò l’intervento militare della NATO in Afghanistan nel 2003 e la Coalizione ebbe tutti i problemi che a loro tempo ebbero i Sovietici. Nonostante sia stato instaurato un governo democratico tra mille difficoltà (e ancora migliaia di vittime) con la reggenza del presidente filoamericano Ghani (succeduto a Karzai nel 2014), l’Afghanistan resta un Paese dal governo molto fragile, sotto costante minaccia di attacchi terroristici e fucina di kamikaze pronti ad agire su larga scala.